Una cosa è dire l’uomo, un’altra è dire l’utopia; dire quest’angelo che cammina a ritroso, fissando la vista dritta, con la pupilla che si concentra senza sforzo dentro l’inspiegabile piccolo.
Una cosa è dire l’uomo, un’altra la follia, l’angelo che sorveglia l’orizzonte, col lume dentro la zattera che ci conduce, ma non sa tenerlo fermo di fronte allo scoglio contro il quale ci squasseremo.
Una cosa è dire l’uomo, un’altra la sua follia: dirla senza sbagli non è compito mio, perché io sono stato l’assurdo che ha cercato di dire se stesso.
Vengo da uno sforzo che mi denuda: accendo un fuoco che mi scaldi.
Chi dice che questa impresa è stata inutile? Chi?
Basta la mia parola a tenere vivo l’animo.
È davvero diverso dire l’utopia.
È davvero diverso non credere la vita triste o allegra, sensata o insensata, ma credere che è vita; vivere nell’assenza di nostalgia, spostarsi in un tempo sempre presente all’interno di un sogno.
Dire il sogno, dirvi il sogno: dirvi i suoni colorati del sogno, i respiri di immagini animate, le ossa di intuizioni che prevedono, il pallore che ne rimane.
Accendo un fuoco che mi scaldi.