Sono trascorsi sessant’anni dal 25 marzo 1957, quando, a Roma, dai Capi di Stato e di Governo dei sei Paesi che avevano costituito la Comunità Europea del Carbone e dell’Acciaio (CECA, Parigi, 18 aprile 1951: Belgio, Francia, Germania occidentale, Italia, Lussemburgo e Olanda), furono firmati i Trattati di Roma (Comunità Economica Europea/CEE e Comunità Europea dell’Energia Atomica/EURATOM). Si è parlato di celebrazione del sessantennale dell’inizio della costruzione della Unione Europea, dopo il superamento della tragedia di due conflitti mondiali. Senza nulla togliere alla rilevanza dell’evento, sembra, tuttavia, opportuno ricostruire quanto avvenne nell’immediato secondo dopoguerra ed evidenziare le inadeguatezze del processo funzionalista di costruzione dell’Unione Europea, iniziato, appunto con i Trattati di Roma (e la Conferenza di Messina, 2 giugno 1955, che li aveva preceduti).
Luigi Einaudi aveva sottolineato (in due lettere apparse sul Corriere della sera il 5 gennaio e il 28 dicembre 1918) che la Società delle Nazioni (proposta dagli Stati Uniti d’America nel 1917, quando ancora era in corso la prima guerra mondiale, ma della quale non fecero parte in conseguenza del voto negativo del Congresso) non avrebbe potuto impedire nuovi conflitti fra stati sovrani perché fondata su un assetto intergovernativo degli Stati aderenti che non avrebbe potuto dar luogo a un governo sopranazionale delle problematiche di un mondo in rapida evoluzione che, tuttavia, tornava a organizzarsi sui principi della sovranità assoluta degli Stati e dei nazionalismi che già avevano provocato la guerra. L’affermarsi dei nazionalismi dette luogo alle dittature italiana, tedesca, portoghese e spagnola. Coloro che erano contrari venivano privati della libertà personale: lo Stato era basato sul principio della forza e della sopraffazione in luogo del diritto.
In Italia, alla fine degli anni trenta, dopo aver trascorso diversi anni in carcere a causa della contrarietà al regime fascista, confinati nell’isola di Ventotene, si incontrarono alcuni antifascisti di diversa provenienza politica, tra i quali Eugenio Colorni, socialista ed ebreo, Ernesto Rossi, liberale, e Altiero Spinelli, da poco uscito, in realtà espulso dal Partito Comunista.
Il 1° settembre 1939, con l’invasione della Polonia da parte della Germania nazista, iniziò la seconda guerra mondiale. Mentre le forze armate tedesche, italiane e giapponesi invadevano mari e continenti (ancora non vi erano stati l’attacco giapponese alla base militare americana di Pearl Harbor – 7 dicembre 1941 – e la conseguente entrata in guerra degli Stati Uniti d’America), a Ventotene, Colorni, Rossi e Spinelli si interrogavano sulle cause delle guerre e, nel 1941, scrissero un manifesto politico (“Per un’Europa libera e unita. Progetto d’un manifesto”) nel quale la sovranità assoluta perseguita dagli Stati nazionali veniva considerata la causa delle guerre: “…. La sovranità assoluta degli stati nazionali ha portato alla volontà di dominio di ciascuno di essi. …. Questa volontà di dominio non potrebbe acquetarsi che nella egemonia dello stato più forte su tutti gli altri asserviti. ….”.
Una Federazione degli stati europei è la risposta alle azioni di sopraffazione fra gli stati conseguenti al principio della loro sovranità assoluta.
Il Manifesto di Ventotene fu recato dall’isola in continente e diffuso da Ada Rossi, Gigliola Spinelli e Ursula Hirshmann. Durante la resistenza europea i principi federalisti si diffusero oltre che in Italia, in Francia e Germania dove si costituirono organizzazioni per la liberazione dalle dittature all’insegna di detti principi. Eugenio Colorni pubblicò il Manifesto nel fascicolo intitolato “Problemi della Federazione Europea” che reca altri scritti di Altiero Spinelli ed Ernesto Rossi. La Prefazione, datata 22 gennaio 1944, è stata scritta da Colorni.
Terminata la seconda guerra mondiale, constatando le difficoltà degli Stati europei, distrutti materialmente e moralmente, gli Stati Uniti d’America/USA decisero di intervenire per la loro ricostruzione proponendo (Parigi, 12 luglio 1947) il Piano Marshall (European Recovery Program/ERP), che fu accettato da 16 Stati europei (non quelli sotto il dominio della Unione delle Repubbliche Socialiste Sovietiche). A detti Stati furono unite la Zona internazionale di Trieste, la Zona francese e la Zona anglo-americana della Germania.
Gli USA sollecitarono gli Stati Europei non solo ad avvalersi delle risorse economico-finanziarie del Piano Marshall ma a dar luogo a un assetto istituzionale che sostituisse quello nazionalistico verso il quale detti Stati si erano orientati, nonostante le esperienze tragiche delle due guerre mondiali. La sollecitazione istituzionale americana non fu accolta, gli aiuti si. Per la ricostruzione occorrevano risorse economico-finanziarie e materie prime (in primo luogo carbone e acciaio). Francia e Germania, come già nel passato, iniziarono di nuovo a competere per le miniere del bacino della Ruhr. Ma, questa volta, a distanza di soli cinque anni dal termine della seconda guerra mondiale, il Ministro degli esteri francese Robert Schuman, coadiuvato da una notevole personalità (anch’essa francese), Jean Monnet, formulò una dichiarazione che rese pubblica il 9 maggio 1950. Il pericolo di nuovi contrasti fra i due suddetti Stati fu, in tal modo, eliminato.
E’ opportuno leggere alcuni passaggi della dichiarazione Schuman: “”La pace mondiale non potrà essere salvaguardata se non con sforzi creativi, proporzionali ai pericoli che la minacciano. Il contributo che un’Europa organizzata e vitale può apportare alla civiltà è indispensabile per il mantenimento di relazioni pacifiche. ……… L’Europa non è stata fatta e abbiamo avuto la guerra. L’Europa non potrà farsi in una sola volta, né sarà costruita tutta insieme; essa sorgerà da realizzazioni concrete che creino anzitutto una solidarietà di fatto. …… La fusione della produzione di carbone e di acciaio assicurerà subito la costituzione di basi comuni per lo sviluppo economico, prima tappa della Federazione europea, e cambierà il destino di queste regioni che per lungo tempo si sono dedicate alla fabbricazione di strumenti bellici di cui più costantemente sono state le vittime. .….. L’Europa potrà, con mezzi superiori, perseguire la realizzazione di uno dei suoi compiti essenziali: lo sviluppo del continente africano. …… Questa proposta … costituirà il primo nucleo concreto di una Federazione europea indispensabile al mantenimento della pace. …..””.
L’obiettivo da perseguire, attraverso il quale evitare la degenerazione dei conflitti fra gli Stati nazionali era, dunque, la Federazione europea. La CECA, che conseguì alla dichiarazione Schuman (primo Presidente fu Jean Monnet), aveva una caratteristica istituzionale sopranazionale, non intergovernativa.
Proseguendo sulla strada indicata da Schuman, fu la Francia a proporre la istituzione di una Comunità Europea di Difesa (CED, Trattato di Parigi, 27 maggio 1952), per la quale si impegnarono particolarmente Alcide De Gasperi, Presidente del Consiglio dei Ministri italiano, coadiuvato da Altiero Spinelli, uno degli autori del Manifesto “per un’Europa libera e unita” (Ventotene, 1941), Konrad Adenauer, Cancelliere della Repubblica Federale della Germania occidentale e il belga Paul Henri Spaak.
E’ importante ricordare che nel giugno 1950 era iniziata la guerra di Corea: una versione guerreggiata, ancorchè limitata, della guerra fredda. La guerra di Corea certamente sollecitò le proposte CECA e CED (con quest’ultima si affrontava anche il problema del riarmo tedesco che non poteva essere risolto con la ricostituzione di un esercito nazionale tedesco).
L’Assemblea Nazionale francese non ratificò il Trattato CED e il processo di costruzione di una Federazione europea, capace di svolgere un ruolo autonomo di progresso e di pace nel mondo, a partire dai sei Stati che avevano istituito la CECA e proposto la CED, subì un arresto. Sulla cosiddetta caduta della CED certamente influì la morte del dittatore dell’Unione Sovietica, Josef Stalin (5 marzo 1953): si ritenne che la guerra fredda si sarebbe attenuata. Comunque, gli europei sarebbero stati tutelati dal North Atlantic Treaty Organization (NATO, Washington DC, 4 aprile 1949), cioè, di fatto, dagli Stati Uniti d’America.
La ricordata Conferenza di Messina (2 giugno 1955), ove ebbe un importante ruolo il Ministro degli esteri italiano Gaetano Martino, rilanciò il processo di costruzione europea che trovò nei Trattati di Roma del 1957 un fondamentale riferimento. Tuttavia le caratteristiche di sopranazionalità dei Trattati di Parigi (CECA e CED) avevano lasciato spazio agli obiettivi economici del Trattato istitutivo della Comunità Economica Europea, rinviando la esigenza di un assetto istituzionale democratico sopranazionale proprio per il perseguimento di detti obiettivi.
Continuò il confronto fra i funzionalisti (procedere verso la Federazione europea a piccoli passi, quelli possibili al momento, tralasciando l’esigenza di un Governo sopranazionale europeo) e i federalisti (in assenza di istituzioni federali, di un Governo sopranazionale europeo, sarà impossibile governare i processi economici e finanziari che, nell’ambito dell’intero pianeta Terra, interessano i Paesi europei e l’Europa non potrà svolgere nel mondo il ruolo di pace che la sua cultura le consentirebbe).
Un successo dei federalisti furono le elezioni a suffragio universale e diretto del Parlamento Europeo (7-10 giugno 1979). Nel nuovo Parlamento Altiero Spinelli condusse la battaglia per l’approvazione (14 febbraio 1984) del Progetto di Trattato che istituisce l’Unione Europea: se i Governi degli Stati della Comunità Europea vi avessero dato seguito, oggi l’Unione Europea sarebbe in grado di concorrere a fronteggiare gli eventi mondiali. Questi, peraltro, si traducono in problemi interni dell’Unione medesima.
Altiero Spinelli morì il 23 maggio 1986.
Dopo alcuni timidi passi avanti, si giunse al Trattato di Maastricht (7 febbraio 1992, i Paesi europei erano 12) con il quale si istituì l’Unione Europea e si avviò il processo che introdurrà la moneta unica europea, l’euro, in 11 Stati dell’Unione (1° gennaio 2002. Attualmente gli Stati dell’eurozona sono 19 su 27 dell’Unione). Ma anche il Trattato di Maastricht ha rinviato la risoluzione del problema di fondo di una Comunità di Stati nazionali che, inadeguati ad affrontare e risolvere singolarmente i problemi planetari di fronte ai quali si trovano, provano a stare insieme non rinunciando, tuttavia, alla rivendicazione di quelle sovranità ormai inesistenti a livello degli Stati medesimi.
Il problema di fondo è l’assetto federale dell’Unione Europea, attualmente dominata dalle rivendicazioni e dai veti dei Governi dei singoli Stati nell’organo istituzionale più importante dell’Unione, il Consiglio Europeo.
Anche il Trattato di Lisbona (entrato in vigore il 1° dicembre 2009, fu la risposta inadeguata alla bocciatura da parte di Francia e Olanda della Costituzione europea nel maggio/giugno 2005) non affronta il problema di fondo dell’Unione Europea: senza un autentico Governo sopranazionale europeo e un assetto istituzionale democratico fondato sul Parlamento Europeo dotato di adeguati poteri, non sarà possibile fronteggiare le problematiche interne dell’Unione, strettamente interdipendenti con quelle planetarie (il nuovo corso della politica degli Stati Uniti d’America, la determinazione della Russia di tornare a svolgere un ruolo planetario, la dimensione e il ruolo della Cina, la crescita demografica dell’India, l’articolazione politica e religiosa dell’Oriente, la permanenza del conflitto israeliano-palestinese, la situazione della Siria, i fenomeni migratori che dovrebbero essere affrontati a partire dalle aree di fuga, in primo luogo l’ Africa, con particolare riferimento ai Paesi mediterranei).
Il 25 marzo scorso è stata l’occasione per valutare con attenzione e senza ipocrisie le ragioni della crisi che l’Unione Europea sta attraversando.
La Dichiarazione di Roma dei 27 Capi di Stato e di Governo e dei leaders delle istituzioni europee è stato un atto di responsabilità politica e istituzionale che ha evitato la frantumazione dell’Unione Europea anche a seguito della uscita dalla Unione medesima della Gran Bretagna.
Detta Dichiarazione comprende l’impegno comune per un’Europa sicura, prospera e sostenibile, sociale, più forte sulla scena mondiale.
Tuttavia, nella Dichiarazione di Roma non sono presenti (e, forse, in questa fase, non sarebbero stati possibili e avrebbero potuto provocare la frantumazione dell’Unione) riferimenti al salto di qualità necessario nel processo di costruzione europea: dall’assetto intergovernativo a quello federale, indicando nel Parlamento Europeo che sarà eletto nel 2019 il soggetto istituzionale per la formulazione di una Costituzione Europea Federale.
Il Presidente della Repubblica, Sergio Mattarella, il 22 marzo scorso ha dichiarato “ormai ineludibile la riforma dei Trattati europei” e ha rafforzato tale affermazione il 25 successivo sottolineando la esigenza di una “fase costituente” per il perseguimento della riforma: “senza la prospettiva di passi in avanti crescenti si rischia una paralisi fatale impossibile da sostenere”.
“La federazione, gli Stati Uniti d’Europa, sono la sola risposta che gli europei possono dare alla sfida che la storia lancia loro” (Altiero Spinelli, “MANIFESTO DEI FEDERALISTI EUROPEI”, Guanda, 1957).
Una Assemblea costituente eletta direttamente dai cittadini europei e un referendum popolare europeo per la ratifica della Costituzione dovrebbero essere l’inizio e la conclusione del processo fondativo della Unione Europea Federale.
Sosteneva Altiero Spinelli: ”…….l’organo che elabora la Costituzione non può essere costituito da diplomatici né da delegazioni di parlamentari nazionali, ma dai rappresentanti del popolo europeo scelti per compiere un’opera europea; e deve avere una sanzione di legittimità europea alla sua conclusione, perché il sì o il no deve essere detto dai popoli e non dai parlamenti nazionali, che sono capaci solo di legiferare in materie di ordine nazionale.” (europa federata, ottobre 1954).
Il ritorno alle chiusure nazionaliste non solo non consentirebbe di affrontare le problematiche dell’epoca che stiamo vivendo ma, proprio per questo, correremmo il rischio di precipitare in nuovi conflitti armati, anche all’interno dell’Europa: ma, a differenza che nello scorso secolo, questa volta le guerre mondiali, in conseguenza delle capacità distruttive delle nuove tecnologie, potrebbero portare alla distruzione del pianeta Terra e alla fine del genere umano.
La globalizzazione è un processo ineluttabile che occorre governare con adeguate istituzioni sopranazionali capaci di elaborare regole e strumenti idonei a finalizzare le libertà di circolazione delle persone, delle merci, dei capitali e dei servizi (le quattro libertà dell’Atto Unico di Lussemburgo-Aja, febbraio 1986) al perseguimento degli interessi generali delle persone, nel rispetto dei diritti fondamentali stabiliti dalla Carta dell’Unione Europea entrata in vigore con il Trattato di Lisbona.