Dieci ottobre 1969. Se dovessimo fissare una data precisa dell’inizio dell’era del progressive rock questa è sicuramente quella più indicata poiché in questo giorno viene pubblicato l’album In the court of the Crimson King dei King Crimson alias Robert Fripp (chitarra e tastiere), Greg Lake (basso e voce), Mike Giles (batteria) e Ian Mc Donald (tastiere e fiati). L’album è una sferzata tremenda alle modalità compositive seguite sino a quel momento con una musica che segue un proprio percorso originalissimo e che non deriva principalmente, come per altri gruppi dell’epoca, dalla musica classica ma supera i confini del rock, del pop e del jazz grazie alla personalità del leader del gruppo e ad un paroliere visionario come Pete Sinfield che ha saputo dare sostanza alla creatività musicale di Fripp, grazie alla sua personalissima vision culturale.
Su questo album sono stati consumati fiumi di inchiostro per cercare di raccontarlo, di sviscerarlo, di comprenderne fino in fondo il significato, di apprezzarne ogni singola nota e ogni singolo passaggio ma probabilmente questo non è possibile e non è sufficiente. Ogni volta che lo si ascolta si percepisce sempre qualcosa di nuovo, qualcosa che in un precedente ascolto non era stato ben compreso. Una scoperta continua. “An ancanny masterpiece” (un capolavoro sconvolgente), come scriverà Pete Townshend, chitarrista degli Who,in una sua recensione a fini promozionali per l’album.
Ma questo album, in realtà, si autopromuove sin dall’inizio a seguito di un’azione di marketing azzeccata ed abbastanza innovativa per l’epoca e per il tipo di prodotto, che lo fa acquistare “a scatola chiusa”. In pratica sulla gatefold cover del disco, nelle due facciate esterne, non appare il nome del gruppo, non ci sono titoli di canzoni; nemmeno sul bordo della copertina. L’unica cosa che si vede in copertina è l’uomo schizoide del XXI secolo che si presenta urlante e ammicca a chi guarda attraverso le vetrine. Per poter capire di cosa si tratta bisogna solo aprirlo. E la voglia di vedere cosa contiene al proprio interno questa copertina, è tanta. Molte persone compreranno il disco solo ed esclusivamente in ragione di quel faccione urlante rimanendo poi folgorati dal contenuto musicale. 21st century schizoid man, I talk to the wind, Epitaph, Moonchild, In the Court of the Crimson King. Cinque brani. Cinque canzoni ognuna con una sua identità ben precisa. Cinque pietre miliari del movimento prog che vanno assaporate; in un crescendo di stupore per ciò che si sta ascoltando. Qualcosa che a quel tempo era profondamente innovativo e non proveniva da nulla di ciò che era stato precedentemente scritto e pubblicato.
In una Londra che aveva tanti punti di incontro notturni per i musicisti dei vari gruppi che tiravano tardi a chiacchierare e ad ascoltare nuove realtà che in continuazione si proponevano al pubblico, i King Crimson rappresentano un punto di rottura ed un punto di inizio per ciò che erano riusciti a creare.
Un aneddoto raccontato da Bill Bruford (batterista degli Yes, altro gruppo importante del movimento), in merito al debutto ufficiale di Robert Fripp e compagni allo Speakeasy Club,il 9 aprile 1969 qualche mese prima della pubblicazione dell’album, fa capire quanto i K.C. abbiano rappresentato nel panorama musicale dell’epoca. Racconta a tal proposito Bruford: “Il pubblico era pietrificato. Tutti guardavano il palco. Le cameriere, di solito incuranti di qualsiasi cosa accadesse nel locale che non fosse lo scoppio di una bomba atomica, avevano smesso di servire ai
tavoli. Si era accesa una luce stroboscopica e un tizio aveva iniziato a cantare di una storia che ha luogo nel ventunesimo secolo. Poi arriva un passaggio all’unisono, su una scala blues, con la chitarra e la batteria che suonano insieme, molto forte. E poi lo stesso passaggio ma sottovoce, così piano che riesci a sentire come i peli ti si drizzano dietro al collo. Alla fine del concerto è trascorso più di qualche istante prima che le persone in sala si ricordassero dove erano e riprendessero in qualche modo a vivere normalmente le loro vite. Ci furono pochi applausi. Ma chi assiste ad un concerto dei King Crimson non se lo dimentica facilmente, a prescindere dal fatto se gli sia piaciuto o meno”.
Si può candidamente affermare che l’album In the Court of the Crimson King rappresenta “il manifesto” del rock progressive; è il disco che ha tracciato la linea e fissato le basi di un nuovo approccio al rock; un approccio “culturale” ed estremamente spinto dal punto di vista tecnico con una continua ricerca di elementi armonici particolari.
Questo nuovo modo di fare musica è anche frutto di combinazioni tra musicisti con un pedigree di tutto rilievo. La maggior parte di loro sono polistrumentisti diplomati al conservatorio. Chi non è diplomato ha comunque un notevole background di conoscenze in ambito musicale. Tanti conoscono la musica classica e provengono da quel mondo. Insomma. Un movimento alimentato dalla continua proposta di nuovi sound, di innovazione anche tecnologica e con interpreti che si muovono da un gruppo all’altro alla ricerca continua di nuovi stimoli per alimentare la loro creatività musicale.
L’incessante valzer di spostamenti e di interazione fra i musicisti, favorisce lo sviluppo delle idee musicali dando vita a sperimentazioni che hanno prodotto altri indimenticabili album considerati veri e propri masterpiece da chi ascolta musica.
Solo a titolo di esempio, dopo aver fatto parte dei King Crimsoned aver prodotto insieme agli altri musicisti In the court of the Crimson King, Greg Lake abbandona il gruppo e forma con Keith Emerson (proveniente dai Nice) e Carl Palmer (che arrivava invece dagli Atomic Roosters) la band omonima degli Emerson Lake & Palmer(ELP) che diventerà un punto di riferimento nell’ambito del panorama progressive producendo album di grande livello nei primi anni ’70 e, precisamente tra il 1970 e il 1973 (Emerson, Lake & Palmer, il primo album e, a seguire, Tarkus, Pictures at an exhibition, Trilogy, Brain salad surgery). Ciò grazie anche alle grandi capacità di Keith Emerson di utilizzare in modo innovativo il suo organo Hammond ma, soprattutto, grazie alla mostruosa versatilità dimostrata nell’utilizzo degli effetti del Moog, il sintetizzatore per eccellenza dei gruppi progressive. Keith Emerson, per le sue doti innate, nel 2014 è stato inserito nella Hammond Organ Hall of Fametra i più grandi tastieristi di sempre.
Ma sono tanti gli esempi che si potrebbero fare e non solo circoscritti al panorama musicale inglese. In quegli anni, infatti, anche in Italia il prog era diventato un movimento musicale di buon livello e tanti gruppi italiani si cimentavano con queste nuove sonorità o con testi culturalmente interessanti, tanto che alcuni di essi erano conosciuti anche al di fuori dei confini nazionali in un periodo in cui era difficile se non impossibile trovare artisti italiani nelle chart inglesi o americane. Ciò dipendeva anche dai rapporti che si erano instaurati tra i gruppi dell’epoca che si frequentavano e si confrontavano per vari motivi. Si pensi, ad esempio a Le Orme e i Genesis così come anche alla PFM e gli Yes e, soprattutto, alla PFM con Greg Lake degli Emerson, Lake & Palmer
il quale divenne loro entusiasta sostenitore nonché produttore per i mercati internazionali, cosa che accadde dopo averli ascoltati in un concerto a Roma di presentazione del loro secondo album ed avendone intuito il talento prog.
Mr. Prog