“Se il rock & roll degli anni ’50 fu musica per il corpo e il rock dei ’60 fu musica per liberare il corpo attraverso la mente, il cosiddetto rock ‘progressivo’ fu musica prima di tutto per la crescita della mente”. Si esprime così nell’introduzione al suo libro l’esperto di prog Cesare Rizzi autore di diversi saggi sul tema. E la sua è una visione sicuramente condivisibile di questo movimento musicale.
L’evoluzione compositiva nel campo del rock ha avuto la sua massima espressione proprio con il movimento progressive nato nel tentativo di scardinare tutto ciò che si rispecchiava in una società conservatrice, il cui credo fondamentale era quello di mantenere lo status quo raggiunto e considerato più che sufficiente a garantire il “benessere” sociale. Ricercare nuove strade “al di fuori” di quelle conosciute non era necessario e, soprattutto, veniva percepito come poco rassicurante per il mantenimento degli “schemi sociali” determinatisi nel dopoguerra.
Sono i Beatles(che non sono progressive), a dare, ancora una volta, una “spallata”, una nuova impronta a tutto il sistema e a lanciare un nuovo modo di approcciarsi alla musica, fatto anche di ricerca di sound “atipici” rispetto al mainstream dell’epoca. Sicuramente lo spartiacque della nuova “era musicale” è l’album “Sgt. Pepper's Lonely Hearts Club” pubblicato nel 1967 che si innesta nel breve ma intenso movimento della psichedelia europea e che si identifica pienamente nella sempre breve ed intensa Summer of Love americana diventata il fulcro della incredibile rivoluzione sociale e culturale di fine anni ’60; testimonianza vitale della fine del cosiddetto sogno americano e dei suoi ideali dopo il fallimento del Vietnam.
In questo periodo, l’uso delle droghe tra i musicisti, apre le porte ad una creatività senza apparenti confini, comportando da questa parte dell’Oceano (molto meno in America) l’apertura di una strada artistica fertilissima nella sua produzione di musica “acculturata”. Una musica che è storia di quegli anni.
La particolarità della stragrande maggioranza di tutti i brani prog dell’epoca e che caratterizza l’intero movimento musicale da un punto di vista tecnico, è data da alcuni elementi imprescindibili come l’utilizzo delle tastiere, quale strumento sostitutivo o di accompagnamento della chitarra; i testi, scelti tra i classici della letteratura e, comunque, non importa quanto comprensibili; in ultimo, ma forse elemento maggiormente distintivo dell’esecuzione musicale, la suite, cioè una melodia composta da diversi movimenti tra loro legati in un unicum più o meno lungo. Quest’ultimo aspetto, il più importante di tutti da un punto di vista stilistico, fondamentale per riconoscere brani appartenenti al movimento prog, è mutuato dalla musica classica ed è reso possibile dalla lunghezza del formato del vinile a 33 giri (vedi prima parte dell’articolo)
Su questi tre elementi caratteristici del prog si sono innestati tutti i diversi stili musicali del rock, dal folk al blues, dal jazz all’hardo anche al semplice pop da cui è poi derivato uno dei rami più importanti del movimento progressive: quello della cosiddetta Scuola di Canterbury(Soft Machine, Caravan, Hatfield And The North e lo stesso Kevin Ayers, una volta fuoriuscito dai Soft Machine, per citarne alcuni).
Non è, però, solamente l’aspetto stilistico-musicale a caratterizzare il movimento prog.
Grandissima importanza ebbero altri due elementi specifici in tale contesto e, precisamente, le label(etichette) discografiche e le cover(copertine) dei dischi.
Rispetto alle label ci fu da parte delle major musicali la creazione di etichette specifiche esclusive per gli artisti appartenenti al movimento prog. Si permetteva, in tal modo, al pubblico, di individuare immediatamente il “prodotto” prog,per tenerlo “separato”, per differenziarlo dagli altri prodotti. Fu così che la Decca Records(storica etichetta dei Rolling Stones) mise in piedi l’etichetta Deram; il gruppo EMI creò il marchio Harvest(il più prolifico dal punto di vista produttivo con diversi artisti sotto contratto tra cui i primi Deep Purplee i Pink Floyd); la RCA creò la sotto etichetta Neon producendo un limitato numero di artisti e dischi (il catalogo ufficiale va da NE01 a NE11 e li si ferma). Ma la più rappresentativa di tutte (ed anche la più amata dai collezionisti di dischi) è sicuramente l’etichetta Vertigo ,appartenente al gruppo Phonogram e lanciata tramite la Philips Records Ltd,che ha prodotto alcuni dei migliori LP Progressive nel periodo considerato (gruppi come Black Sabbath, Colosseum, Gentle Giant ma anche solisti come Rod Stewart). A queste etichette principali, tra cui bisogna annoverare anche Virgin Records, Charisma Record se Island Records, vanno aggiunte tutta una serie di ulteriori label indipendenti diventate leggendarie come Nepentha, Mushroom, Dawn, Dandelion,ed alcune altre ancora, con dischi che sono diventati pietre miliari del movimento e che fanno la felicità dei collezionisti del settore poiché, oggi, praticamente quasi introvabili.
Per quanto riguarda le cover il discorso si fa ancor più interessante ed “esteticamente” avvincente.
Le copertine degli album avevano già subito una prima evoluzione all’inizio della seconda metà degli anni ’60, quando esse diventarono strumento di attrazione del consumatore finale (di fatto la copertina rappresenta il packaging del disco). Ma, con l’avvento del rock progressive, le copertine diventarono vere e proprie “opere nell’opera” con disegnatori (anche) professionisti che avevano come obiettivo quello di far diventare il disco immediatamente individuabile dal pubblico, creando una sorta di strettissima sinergia tra il “contenuto” musicale e l’involucro che lo conteneva, in un binomio occhio-orecchio inscindibile. Non è un caso che in quegli anni molti cqnuistassero il disco solo vedendo la copertina e conoscendo l’etichetta musicale che lo aveva prodotto: era prog a prescindere. Ancora oggi, gli appassionati del prog, acquistano il disco anche solo per la copertina o per l’etichetta, prima che per la musica. Ci sono cover diventate famosissime e conosciute anche al di fuori del movimento prog. Basti pensare alla copertina di The dark side of the moon dei Pink Floyd o a quella di In the court of the Crimson King dei King Crimson che si richiama per alcuni aspetti al famosissimo “Urlo” di Munch.
Altre sono meno conosciute ma, comunque, artisticamente rilevanti (ad esempio Selling England by the pound dei Genesis che si richiama completamente al dipinto “The Dream” del pittore Betty Swanwick o alle copertine degli album degli Yes ,tutte stilisticamente ineccepibili).
Quando si parla di covernon può non essere citato lo studio di design Hipgnosis fondato nel 1968 da, Aubrey ‘Po’ Powelle Storm Thorgerson a cui si aggiunse nel 1974, prima come collaboratore e poi come socio, Peter Christopherson .Il nome dello studio, che richiama per affinità la parola ipnosi, fu scelto in realtà per caso, per una incisione che si trovava sulla porta dell'appartamento di Powelle Thorgerson ma che piacque molto poiché “rimandava” a due parole che esprimevano concetti tra loro contrastanti: la parola hip(qualcosa di “tendenza”, una novità) e la parola gnosis, derivante dal greco, che ha un significato ampio in termini di conoscenza spirituale ma anche materiale.
Il lavoro dei tre designers di Hipgnosis ha prodotto, negli anni, centinaia di cove rper Long Playing sia del mondo progressive, sia del mondo del rock in generale, tanto che nel 2017 è stato pubblicato, in un bellissimo libro con 480 illustrazioni, il catalogo completo di tutte le copertine che lo studio di design ha realizzato negli anni.
Un ottimo modo per riuscire a comprendere quanta “arte” è racchiusa in una semplice copertina di un disco. (continua)
1 Cesare Rizzi - Introduzione al libro “Progressive & underground in Gran Bretagna ed Europa 1967-1976”
Aubrey Powell - Vinyl Album Cover Art – The complete Hipgnosis Catalogue– Thames & Hudson