Il 21 maggio 2023 per chi ama la musica ed il rock in particolare si può dire finita la lunga stasi della pandemia, di vita ritirata e non scelta, dove la paura e il sospetto imperavano. Ogni altro poteva essere un pericolo.
Sessantamila circa, amanti della Musica e in particolare di quella di Bruce Springsteen e della E Street Band, hanno invaso il Circo Massimo, ridotto quasi a un pantano (pozzanghere ed erba non coltivata travolta dal fango) e non si sono fermati. In piedi hanno aspettato, ognuno di loro in uno spazio meno intriso d’acqua, ascoltando due band o relazionandosi. Ai lati del palco, come sempre, la bandiera statunitense e la bandiera italiana (del paese ospitante) e tanti maxischermi. Su di essi puntuale , come sempre, alle 19,30 The Boss, dopo sette lunghi anni, ha salutato Roma ed un urlo dei fan lo ha accolto. È stata subito musica e la gente ha cercato di non perdersi nulla. Come in tutti i concerti di Springsteen erano presenti tutte le generazioni : coppie anziane che si muovevano e cantavano come se avessero ritrovato il ritmo della loro giovinezza, bambini e bambine con il papà e la mamma, trascinati da quelle note, giovani innamorati e non. Vi erano italiani dai vari paesi e città della penisola e tanti stranieri ( inglesi, tedeschi, asiatici). Uniti da quella musica e da quelle parole.
Grande musica, non solo quella di Bruce, ma di tutta la band, dove ogni musicista è un talento. Sul palco Springsteen è il primo a divertirsi, trascinando pubblico e band. Il concerto non è solo rock, ma con Nightshift dei Commodores (dall’ultimo album di Springsteen Survive, album di cover) spazia nel soul e con Candy’s Room e Kitty’s back nel blues e nel jazz (grande performance di ogni musicista della band, soprattutto dei due batteristi (vi sono due batterie). Si capisce, allora, così perché tra quella folla di fan vi sia anche Sting, come riportato da alcune testate nazionali. Springsteen per tre ore canta e suona senza sosta. A settembre compirà settantaquattro anni, visibili nei capelli stempiati e brizzolati e nel non concedere più spazio all’interloquire e all’interagire con i fan dal palco e sul palco, pur non rinunciando a qualche discesa tra quelli nelle prime postazioni, per dare e ricevere strette di mano. Al di là di questo è sempre The Boss, Bruce Springsteen con camicia semiaperta e jeans neri, orecchini piccoli a cerchio, fasciature nere ai polsi e chitarre cambiate, gettandole, ad ogni canzone. Dopo aver cantato The promised land lancia la sua armonica verso il basso e un papà subito l’afferra per darla al figlio che ha tra le braccia. I maxi schermo, che oltre il palco, riportano spesso immagini dal pubblico, subito rimandano quanto sta accadendo.
Nei concerti di Bruce Springsteen vi è sempre un tributo a colui che piegò il sax tenore al rock e all’empatia musicale con lui, diventandone amico. Mi riferisco a Clarence Clemons, detto Big Man(Norfolk, 11 gennaio 1942 – Palm Beach, 18 giugno 2011). Anche in questo concerto questo tributo vi è stato.
Non manca nemmeno il tributo a Patti Smith con Because the night, canzone scritta con lei, canzone cantata e ballata da tutti.
È Bruce Springsteen il frontman che dirige ed esalta la band e che incita e trascina i sessantamila. È lui il primo a divertirsi trasmettendolo a chi è venuto al concerto e che ora come tutti gli altri, intorno a lui, si muove, balla, canta, urla, batte e muove le mani al ritmo. Tutti sono un’unica entità, che in quelle tre ore sta semplicemente bene. Felice. Il resto non esiste.
È la magia della musica che riempie l’aria e penetra dentro riempiendo di ognuno i vuoti, di varia natura.
La voce di Bruce più rauca e graffiante man mano che invecchia (è migliorata, stranamente, con il tempo) canta la rabbia contro la guerra con Death to my hometown, in particolare la morte in Vietnam dei componenti della sua prima band e con The born in the USA, che potrebbe far pensare ad un’esaltazione degli Stati Uniti, canta, invece, l’amara denuncia proprio di quella guerra per cui morirono tanti giovani americani, alcuni senza capire il perché. Springsteen non è soltanto una rock star: è, in primo luogo, un musicista e un cantautore. E canzoni come queste o come altre piene di impegno civile lo dimostrano. O Thunder Road, dove il sogno americano agognato (e realizzato da lui) è trasposto in quello di un giovane scapestrato che corteggia una ragazza affacciata al balcone, affinché scenda e vada con lui a cercarlo. Come ogni volta, Bruce è rimasto solo sul palco e canta Thunder road accompagnandosi con chitarra ed armonica, come ogni volta l’aria pare che cambi e diventi struggente.
Ieri tutti la cantavano e Springsteen subito si è adeguato a questa “voglia” del suo pubblico e” lo ha diretto” nell’esecuzione.
Gli ultimi “pezzi musicali” sono quelli più amati e conosciuti, oltre The born in the Usa, Born to run, She’s the one, scandita dal battito delle mani e Dancing in the dark.
Bella e coinvolgente canzone. Tutti si muovono seguendo la musica.