Giovedì, 10 Marzo 2022 07:25

GANGE

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IL NUOVO RACCONTO DI ELIA LOCATELLI

Arriviamo a Varanasi alle quattro e trenta del mattino, la città è ancora avvolta dal torpore della notte. Immediatamente ci colpisce un odore forte e pungente. Sentore di animali, di corpi addormentati sulla strada. L'odore si confonde con i roghi delle pire miste ad incenso. L’aria densa e umida quasi spaventa e affatica il respiro.

Nella penombra si muovono lente alcune figure umane. Cani selvatici rovistano nei rifiuti ai bordi delle strade. Qualcuno comincia a risvegliarsi e ci guarda dal suo giaciglio. Camminare, camminare, bisogna andare, prima che sopraggiunga l’alba. Le gambe vanno da sole, non so dove, seguo Samir come un’ombra. Attraversiamo una grande via asfaltata, fra vecchie auto ferme e qualche mucca che rumina lenta.

Le strade diventano sempre più strette, costeggiano case imbiancate di calce e porte socchiuse di abitazioni silenziose. Proseguire diventa sempre più difficile, a causa dei rivoli di acque fetide che scorrono al centro dei vicoli. Un vitellino spunta da un’abitazione, fra le braccia di un bambino che lo accarezza. Poi incontriamo il tempio di Shiva. Si scorgono i primi Sadu, seduti immobili davanti al portale. Altri porgono le mani per chiedere qualche rupia. Sono mendicanti vestiti con abiti arancioni per ingannare i passanti.

Avanti, avanti, prima che sorga il sole. Fa sempre più caldo, Ora l’odore, benché forte e insistente, è diventato sopportabile, è parte di noi, ci compenetra e ci stordisce. Due uomini, vestiti solo di un telo sui fianchi, ci sono accanto, passano fra noi. Hanno la pelle bagnata e i piedi nudi. Mi volto a guardarli, e scorgo tra le loro mani piccole urne vuote. Siamo vicini. Ci spingiamo avanti e intravediamo altre persone; donne dai Sari gocciolanti, con le mani torcono e strizzano i lunghi capelli neri. Il vicolo diventa fangoso e scivoloso. Si cominciano a vedere le prime luci dell’alba.

Il vicolo si allarga, e improvvisamente si apre davanti a noi il chiarore luccicante dell’acqua: Ganga Mata. C’è gente, c’è caos, perdo i miei compagni di viaggio e mi lascio trasportare dalla folla. Decine di incensi fumano nelle ciotole di terracotta dai colori mai visti. Un uomo accovacciato sui Gat, sotto un parasole decorato, mi fa segno di avvicinarmi. Mi lega un cordino rosso al polso, poi immerge il pollice in un vasetto di polvere colorata e me lo pone sulla fronte.

Ora sono come loro, come tutti, e mi accorgo di essere già con i piedi nell’acqua. Non so dove siano i miei compagni, non so nemmeno dove io sia, semplicemente sto nel tutto. Molti si immergono, alzano l’acqua con i palmi delle mani unite e la lasciano scorrere sul capo e sul viso, altri lavano le vesti o disperdono ceneri. L’acqua è densa e fangosa. Vengo sospinta dalla gente che passa per andarsi a bagnare. Il corpo è morbido, come la mente. E’ l’alba. Una piccola campana comincia a suonare l’arrivo del nuovo giorno. Ha un suono ritmico, martellante, continuo. Lo sguardo si perde nel chiarore dell’acqua, nel vapore umido e caldo, nel vociare, nei movimenti lenti, la campana continua a suonare e disperde la mente, anche il corpo si perde nel tutto... io sono nel fiume.

Io sono il fiume.

Letto 701 volte Ultima modifica Lunedì, 21 Marzo 2022 15:01
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