Lunedì, 29 Novembre 2021 17:56

LA COCCINIGLIA E LA BUROCRAZIA STANNO UCCIDENDO I PINI DELLE NOSTRE CITTA'

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DIFENDERE I NOSTRI PINI E' DIFENDERE LA STORIA DEL NOSTRO PAESAGGIO E DELLA NOSTRA GASTRONOMIA. di RENATO REGGIANI*

Il nostro amato produttore di pinoli, disseccato e risucchiato da migliaia di fameliche cocciniglie e soffocato dall’abbraccio mortale del fungo “nero”, tenta una ultima disperata resistenza cercando, con le sue ultime risorse di far crescere nuovi giovani aghi sulle sue cime.

I Pini italiani stanno piangendo. Lacrime di melata, simili a resina, scendono dai loro ombrelli ombrosi, si appiccicano al terreno e colorano a pois l’asfalto con cui abbiamo assediato le loro radici.

I Pini in Italia stanno morendo. Stanno morendo in Campania, dove tutto è iniziato nel 2018, in tutto il basso Lazio e nella Capitale, nelle Tenute Presidenziali di Castelporziano e San Rossore in Toscana ma anche sui tanti lungomare della Campania, nella pineta di Ostia o all’Eur, il quartiere nato per l’esposizione universale di Roma che ha di recente ospitato gli ignari leader del G20 tra i suoi maestosi viali di Pini e lungo la Cristoforo Colombo che la unisce al mare.

Il caro e familiare Pino Domestico, accogliente anche nel nome, sta velocemente morendo, disseccato, anzi risucchiato da un parassita invisibile da terra. La cocciniglia marrone, un invasore arrivato dal Nord America, e che qui non ha trovato nessuno tra le decine di predatori che ne contengono numero e danni al di là dell’oceano.

Gli inverni tiepidi di questi ultimi anni poi, hanno ulteriormente favorito la diffusione di questa terribile coppia. Coppia vi chiederete? Si, perchè la cocciniglia che succhia la linfa vitale del Pino fino a seccarlo, è aiutata da un perfido Fungo. Cresce con nere fumaggini intorno agli aghi e rami infestati dalle coccinelle che producono le “lacrime di zucchero”, la melata di cui il fungo si nutre. I verdi aghi di pino sono velocemente ricoperti da una patina nera come la pece, è il fungo, che cosi finisce di soffocare il nostro Pinus Pinea impedendo la fotosintesi e la respirazione degli aghi di Pino.

I pinoli hanno accompagnato lo sviluppo della civiltà in Italia e nel bacino del mediterraneo dai primi villaggi neolitici agli etruschi e romani. Li piantavano per raccoglierne i preziosi semi e goderne l’ombra d’estate. L’industria e la produzione dei pinoli Italiani della costa Tirrenica sta per sparire ed è a forte rischio anche quella ligure e della Calabria.

Simbolo del paesaggio di Roma e di tante città e località costiere in tutta la penisola, è vittima di un letale complotto: parassiti e burocrazia lo stanno annientando.

Non a tutti piacciono i Pini nelle nostre città, alberi assai longevi possono arrivare tranquillamente ad un secolo e più, altezze superiori ai 18 mt con esemplari anche di 25/30 e purtroppo, quando piantati male e soprattutto mal tenuti, senza la giusta cura e manutenzione di esperti giardinieri e agronomi, sono troppo spesso accusati di essere ostacolo alla circolazione con le loro radici superficiali.

Ma se voi foste un Pino e vi soffocassero di asfalto fino intorno al tronco, dove pensate che cercherebbero la preziosa acqua le vostre radici? Sarebbero attratte dalla condensa che si forma sotto l’asfalto e inevitabilmente resterebbero in superfice.

Il nostro amato produttore di pinoli, disseccato e risucchiato da migliaia di fameliche cocciniglie e soffocato dall’abbraccio mortale del fungo “nero”, tenta una ultima disperata resistenza cercando, con le sue ultime risorse di far crescere nuovi giovani aghi sulle sue cime…. chi passeggiando scopre questa nuova chioma vitale pensa che stia bene, invece, è il segno che la fine è vicina.

Ci può volere un periodo dai 6 mesi ai due anni ma l’esito è la morte dell’albero, la caduta progressiva degli aghi di pino ad iniziare dai rami più bassi man mano che le nuove generazioni di invasori colonizzano anche le cime dei rami.

Ma, anche in questo caso il peggior nemico sembra essere stata finora la burocrazia. Comitati di cittadini, scienziati e università, comuni, regioni ed anche il ministero dell’agricoltura invece di mobilitarsi e affrontare il nemico quando era ancora “fresco di sbarco”, invece di fermarlo sulle spiagge e pinete dove era sbarcato, hanno tergiversato, analizzato, rinviato, commentato e infine decretato.

La buona notizia è che la cura esiste, sia in forma biologica che con trattamenti chimici endoterapici ( una serie di innocue punturone da fare ai tronchi malati) e che i risultati sono ottimi dal 70 al 90% dei casi di successo. La cattiva è che bisogna intervenire il prima possibile e molte amministrazioni locali ancora non hanno neppure stanziato i fondi per procedere ad interventi massicci ( curare pochi alberi alla volta è inutile perchè si reinfesteranno) presto.

Oltre due anni per arrivare ad avere delle linee guida per intervenire, due anni in cui i parassiti hanno reso spettrali le pinete costiere della Campania e Basso Lazio. Si stima che tra Campania e Lazio siano già quasi 500.000 gli alberi infettati. Nella sola Roma i Pini sono oltre 150.000 e nel Lazio quasi un milione.

È ancora possibile fermarla, bloccare questa strage che rischia anche di far scomparire, uno dei prodotti italiani più famosi nel mondo, il vero Pesto Genovese DOP che prevede proprio, nel suo disciplinare, i pinoli italiani come ingrediente principale insieme al basilico .

Non parliamo poi delle enormi quantità di carbonio racchiuse nei tronchi giganti di questi alberi che rilasceranno milioni di tonnellate di CO2 nell’atmosfera, oltre a rappresentare un enorme pericolo di incendio nella prossima estate.

Decine se non centinaia di migliaia di Pini Domestici secchi, rappresentano con il tappeto di aghi ricchi di resine infiammabili ed i loro tronchi alti e porosi, un combustibile che nella prossima estate potrebbe alimentare roghi di immane potenza sui litorali italiani, che distruggerebbero anche Lecci e Querce spesso crescono insieme ai Pini lungo le coste italiane.

Possiamo salvare i Pini solo battendo la burocrazia e unendo tutte le soluzioni oggi a disposizione. I “punturoni”, trattamenti endoterapici, insieme a trattamenti preventivi con coccinelle ed altri predatori naturali.

Impariamo a far respirare di nuovo le radici dei Pini, usiamo le buone pratiche che prevedono di liberarli dall’asfalto che li soffoca per almeno 3 mt dal tronco e non tagliamoli o potiamoli se non come ultima istanza.

Il Pinus Pinea, non sopporta capitozzature o potature che inevitabilmente lo rendono fragile e soggetto a malattie. Basti pensare che i comuni hanno stanziato spesso decine di milioni di euro per le potature ma ancora pochissimi fondi per la cura delle decine di migliaia di pini presenti nei loro territori. Sembra quasi che per qualcuno questo parassita dei Pini sia l’occasione per eliminarli dalle nostre città senz assumersene le responsabilità.

Difendere i nostri pini è difendere la storia dell’Italia, del nostro paesaggio, cultura e cucina.

*Renato Reggiani è Amministratore Delegato della BioPic, azienda innovativa nel settore dell'agricoltura 4.0

Letto 841 volte Ultima modifica Lunedì, 29 Novembre 2021 18:04
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