Domenica, 22 Settembre 2019 12:19

LUNEDI’ 23 IL SUMMIT DELL’ONU SUL CLIMA

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MA TRUMP NON SARA’ TRA I 60 LEADER PRESENTI AL CLIMATE ACTION SUMMIT

Lunedì 23 settembre, alla vigilia della settantaquattresima Assemblea Generale delle Nazioni Unite, al palazzo di vetro, a New York, si terrà il Climate Action Summit, in cui 60 leader mondiali dovranno, si spera, concordare azioni concrete in grado di arrestare i disastrosi cambiamenti climatici in atto. Per ridare un futuro alla nostra madre terra ed all’umanità che la abita. Tuttavia, mentre tutto il mondo si mobilita, anche con importanti manifestazioni di massa, e 170 testate giornalistiche hanno aderito all’iniziativa promossa dalla “Columbia Journalism Review” di informare di più e meglio sulla questione ambientale e la crisi climatica, il Presidente del paese che ha le maggiori responsabilità riguardo al depauperamento delle risorse della terra e dei mari, ma anche le maggiori potenzialità per salvare il pianeta, Donald Trump, non sarà presente al summit. Eppure, mai come in questo momento, l’attenzione delle persone e dei mass media si è concentrata su quel problema epocale che è la crisi climatica. Ed allora, la priorità è quella di informare. Il supplemento del quotidiano La Repubblica, “Scienze” ha dedicato il suo ultimo numero al clima che cambia ospitando diversi interventi che spiegano in modo dettagliato la “febbre della terra”. Innanzitutto l’intervista allo scienziato britannico Sir David King, promotore di un centro per la riparazione del clima. Che afferma, rimarcando il fallimento degli accordi di parigi del 2015: “Continuiamo ad immettere nell’atmosfera 40 miliardi di tonnellate di gas serra ogni anno, che dovremmo portare a zero per avere una inversione di tendenza in 40 anni”. Nel frattempo lo scenario prospettato da Sir David King è catastrofico: “lo scioglimento del ghiaccio dell’artico con l’innalzamento dei mari di 7 metri ed un ulteriore riscaldamento della terra con l’impossibilità per milioni di mersone di accedere al cibo”. Le soluzioni del Center For Climate Repair di Cambridge sono sorprendenti: “non solo la riforestazione, ma di fronte ad una popolazione mondiale che va verso i 10 miliardi di persone, bisogna ricongelare l’Artico e seminare delle foreste verdi negli oceani, almeno nel 3% dei mari”.

Marco Tedesco, in un articolo sulla fusione dei ghiacciai, pone in evidenza un dato davvero allarmante: “nei terreni dell’artico in via di scongelamento è presente un 10% di carbonio che, se liberato, immetterebbe nell’atmosfera 150 miliardi di tonnellate di CO2, l’equivalente di quelle che emetteranno gli USA fino al 2100”. Si analizza il caso della Groenlandia, i cui ricchi giacimenti di minerali preziosi che affiorano dallo scioglimento del ghiaccio fanno gola a Cina e USA, dove il cielo privo di nuvole aumenta gli effetti della radiazione solare che accelera il riscaldamento e influenza negativamente i venti e le correnti aeree. La Groenlandia che qualcuno vorrebbe acquistare per i propri interessi economici, rappresenta invece un problema globale che andrebbe affrontato. Gavin Schmidt, climatologo e direttore del Goddard Institute For Space Studies della Nasa, in una intervista a Luca Fraioli lancia una pesantissima accusa: “il cambiamento delle correnti oceaniche, l’innalzamento dei mari, lo scioglimento dei ghiacci, il riscaldamento globale sono dinamiche previste già 25 anni fa. Nel mondo ci sono 6300 stazioni che raccolgono dati sul clima e non c’è dubbio che a causa dell’industrializzazione e dell’emissione di gas serra la temperatura è salita di oltre un grado e potrà salire di altri quattro gradi entro la fine del secolo”. Insomma, nessun politico può negare il Global Warning. I suoi effetti, del resto, coinvolgono ormai la vita e il lavoro di milioni di persone. A svelarcelo sono le testimonianze di vignaioli che non riescono a gestire i processi di fermentazione delle uve, l’adattabilità delle varietà di vitigni autoctoni o le nuove malattie favorite dal clima subtropicale; di raccoglitori di tartufi che parlano di spostamento di un mese della stagione; dei gestori di impianti sciistici e di rifugi alpini che vedono sciogliere la neve prima del previsto; di pescatori che scontano una vera e propria sostituzione di specie ittiche; di agricoltori che devono cambiare coltivazioni a causa dell’aumento delle temperature che hanno, quindi,  un effetto diretto sull’economia.

Per studiare l’impatto economico dei cambiamenti climatici, valutarne i rischi e trovare le soluzioni per mitigarne i danni è nato nel 2008 il Centro di Ricerca sul Clima grazie alla collaborazione tra l’Università Cà Foscari di Venezia e la Fondazione Centro-Euro Mediterraneosui Cambiamenti Climatici. Il centro ha sede a Marghera presso il Parco Tecnologico e Scientifico Vega e vi lavorano 50 ricercatori.

Dunque, possiamo combattere il global warning, possiamo invertire la tendenza in atto. Per farlo i politici devono ascoltare gli scienziati e ogni persona deve avere una maggiore consapevolezza del proprio stile di vita in rapporto all’ambiente e fare delle scelte.

La scienza, la ricerca e la tecnologia puntano sulle energie rinnovabili. Dell’energia pulita prodotta nel mondo il 65% è idroelettrica, il 18% eolica, l’8% proviene da rifiuti e biocarburanti, il 7% dal sole e il 2% è geotermica. In Italia il 40% è idroelettrica, il 17% eolica, il 23% solare, il 19% deriva da biocarburanti e rifiuti, il 2% è geotermica. Il chimico Vincenzo Balzani, nel suo articolo pubblicato nello speciale sul clima di “Scienze” afferma: “più dell’80% dell’energia che usiamo proviene dai combustibili fossili, immettendo ogni secondo nell’atmosfera 1100 tonnellate di CO2 principale responsabile del cambiamento climatico. Se solo volessimo, nel 2050 potremmo arrivare al 100% di elettricità pulita. Questo cambiamento è ostacolato dalle lobby economiche e finanziarie e dalle controversie politiche”.

In più oggi abbiamo a nostra disposizione i satelliti per analizzare lo spazio e rilevare i dati sulla salute della terra. Dal lontano 1998, data del Manifesto di Baveno, alcune istituzioni europee si sono accordate per realizzare un sistema satellitare dedicato al Monitoraggio Globale per l’Ambiente e la Sicurezza.  Sistema che oggi è denominato Copernicus. Grazie ai suoi dati rilevati con gli infrarossi e le onde radar e potentissimi centri di calcolo, Copernicus ha ridotto, in Grecia, del 20% il consumo di acqua, fertilizzanti e pesticidi; ha ottimizzato le rotte marine con conseguente risparmio di carburante; ha ridotto il tempo di intervento rispetto alle emergenze climatiche. La produzione in agricoltura è aumentata e si è ottenuto un importante risparmio di denaro.

Comunque, al di là dei governi e dei politici, degli interessi delle lobby economiche e finanziarie, sono i singoli individui che possono fare la differenza e contribuire a combattere i cambiamenti climatici in atto. Le Nazioni Unite, proprio in vista del summit di lunedì hanno lanciato un decalogo chiamato “Act Now”. Non ci resta che metterlo in pratica ogni giorno: usa la bici; compra a Km 0; usa una borsa portata da casa per fare la spesa; stacca la spina; usa solo lampade Led; riduci il consumo di carne; fai la differenziata; usa la borraccia per l’acqua; fai docce di massimo 5 minuti.        

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