Vi presentiamo un estratto del racconto.
Era ancora l’alba quando Ibrahim accese la lanterna in cucina. Si muoveva lentamente, per non svegliare la madre e i fratelli; sollevò il coperchio della cesta di vimini e ne trasse una scodella di coccio contenente dei biscotti color miele. Aveva impastato lui stesso i dolcetti di mandorle e li aveva cotti nel forno di casa. Li prese in mano delicatamente osservandoli con orgoglio, poi scelse i migliori, quelli dalla forma perfetta, avvolgendoli con cura in un foglio di carta. Usò un cordino di canapa per legare il pacchetto, decorato con origano fresco, dell’orto. Nella sacca ripose anche del pane azzimo e alcuni falafel. Uscì. L’aria era fresca e limpida. Attraversò il terreno che circondava la casa, prese il vialetto sterrato e costeggiò le altre abitazioni ancora silenziose. Si udiva solo il suono dei suoi passi e lo scorrere dell’acqua nei canali, lungo i campi. Proseguì fino alla moschea. Si inginocchiò per la preghiera e poi riprese il cammino verso il centro. Quando giunse nella piazza, il cielo cominciava a schiarirsi e una luce rosata illuminava gli alti cedri, echeggianti di voci di passeri. Rimase in attesa fino all’arrivo dell’autobus, poi salì. Scelse il primo posto davanti e sistemò la sacca sul sedile accanto, facendo ben attenzione che non cadesse durante il tragitto. Non aveva dormito molto durante la notte, ciononostante era sveglio e vigile come non lo era mai stato. Finalmente l’autobus ripartì, lasciandosi alle spalle il centro di Homs. Attraversò le strade della città vecchia, fino al fiume, dove le norie continuavano a girare sospinte dall’ acqua. Le grandi pale di legno si sollevavano, ruotando in aria, e poi ridiscendevano immergendosi di nuovo. Presto i bambini del paese, approfittando del giorno di festa, si sarebbero arrampicati sui mulini facendosi trasportare nel punto più alto per poi tuffarsi. Lasciata la città, vide scorrere dal finestrino la periferia e poi la campagna. I campi di grano si alternavano a carrubi e alberi di fico, grandi tamarischi verdi facevano da sfondo a coltivazioni di fave e ceci. Proseguendo verso sud, i campi cominciarono a diradarsi lasciando spazio a terreni sempre più brulli, dal colore rosso e ocra. Superato il villaggio di Shamsin, si apriva il deserto. Ibrahim osservava le colline rocciose, bianche di calcare, oltre le quali si stendeva una superficie pianeggiante che sembrava senza fine. A tratti si vedevano le tende scure dei beduini, circondate da greggi di pecore. I nomadi lungo la strada vendevano agnelli ai viaggiatori di passaggio. In lontananza, ai piedi delle colline, scorse una carovana. I beduini erano i soli ad attraversare a piedi quei territori. L’autobus fece una breve sosta nei pressi di Hassia. Ibrahim scese, voleva toccare quella sabbia fine e leggera, sentirla scorrere fra le dita. Oltre la pianura si delineavano le alture che custodivano le tombe nabatee; su quelle terre, pensò, aveva dominato la regina di Saba. Quando ripartirono, in direzione di Qarah, l’aria era già molto calda. Dopo una mezz’ora di deserto, comparvero i monti. Erano alti e scoscesi, ripidi come tagliati da un coltello, dal colore giallo che diventava sempre più dorato alla luce del sole. L’autobus rallentò la sua andatura, il percorso si faceva impervio a causa dei tornanti. Presto si trovarono nelle gole della montagna, viaggiavano all’interno di fenditure, levigate dallo scorrere di antichi fiumi. L’autobus sobbalzava e le curve sembravano infinite, poi improvvisamente si aprì davanti ai suoi occhi Ma’lula. La cittadina era arroccata sulla parete del monte, bianchissima con le sue case di mattoni e calce. Più in alto si vedeva la cupola azzurra della chiesa e accanto il campanile. Il mezzo si fermò, Ibrahim scese e proseguì a piedi. Tirò la kefiah sulla testa per ripararsi dal sole e cominciò la salita. Le piccole abitazioni avevano le porte aperte. Le donne erano al lavatoio o nei campi e i ragazzi ancora a scuola, lì non era giorno di festa. Il giovane si riposò sotto un olivo, voleva ritardare il momento atteso da molto tempo, poi si avvicinò alla scuola e si sedette ad aspettare. Verso mezzogiorno le ragazze uscirono in gruppo, Ibrahim cercò con lo sguardo. Quando vide Maria, aspettò che passasse per salutarla, lei lo riconobbe e gli sorrise. Parlarono a lungo, passeggiando nelle vie del paese e su fino al monastero di San Sergio. Nell’abitato tutte le ragazze portavano lo stesso nome e la gente del posto comunicava in aramaico ma Maria conosceva bene anche l’arabo, lo aveva imparato a scuola. Dal monastero si dominava tutta la valle. I due si sedettero su una roccia e lui le consegnò il pacchetto di dolci che aveva portato in dono. Rimasero insieme fino al tramonto a mangiare mandorle e miele. Poi giunse l’ora per Maria di rientrare. Ibrahim ridiscese le vie del paese, che ora sembravano più lunghe. Giunse giù nella valle e aspettò l’arrivo dell’autobus. Il mezzo arrivò dopo molto tempo, pieno di contadini e commercianti che tornavano dal mercato; lui trovò un sedile libero in fondo. Partirono e si voltò a guardare le bianche case allontanarsi fra la polvere. A pochi chilometri da Al Quasayr, l’autobus si arrestò, 8 c’era una lunga fila di macchine e camion fermi, la gente era in strada, ma non si vedeva nulla, doveva esserci un blocco molto più avanti. Il ragazzo scese con gli altri sulla carreggiata. Non sapeva cosa fosse successo, poi qualcuno disse che c’era stata un’esplosione. Ci volle molto tempo prima che la strada fosse liberata, riuscì a rientrare a casa solo a tarda notte. I giornali l’indomani scrissero di un’autocisterna in fiamme, ma Ibrahim lo vide nei volti degli uomini che qualcosa stava cambiando.
Estratto dal libro "Ibrahim", visionabile al seguente link: https://www.edizionilagru.com/14-piano/292-ibrahim-9791280204400.html