In questi giorni che preannunciano l’estate una delle mie letture è “Mattatoio n. 5. O La crociata dei bambini, di Kurt Vonnegut, dove, nelle primissime pagine, mi è capitato di fare un incontro che ha suscitato in me il desiderio di scrivere questo articolo. Mi sono imbattuto in un Limerick. Famoso e un po’ licenzioso per giunta, tradotto però in modo non rispettoso delle caratteristiche di questo tipo di componimento poetico. Dal Limerick Vonnegut passa ad una canzone e all’infinito temporale del suo sconvolgente romanzo. Dal Limerick si parte. E allora vediamo più da vicino di cosa si tratta.
Il “limerick” è un componimento poetico con una struttura rigida di 5 versi di cui i primi due e l'ultimo rimano tra loro, così come rimano tra loro il terzo e il quarto. Dunque, lo schema metrico è AABBA. Ma la struttura di questo tipo di poesia è rigida anche perché il primo verso deve sempre esprimere il protagonista del tema, ben definito da un aggettivo qualificativo e il luogo dove si svolge l’azione; il secondo, il terzo e il quarto verso servono a sviluppare in modo sintetico il tema; nel quinto verso viene richiamato il protagonista. I temi hanno un carattere umoristico e nonsense.
Limerick è una città irlandese costruita sulle sponde del fiume Shannon che, dopo la brutta fama di città dei coltelli avuta nella prima metà del ‘900 per la diffusa criminalità che la caratterizzava, come ci racconta il premio Pulitzer Frank Mc Court in “Le ceneri di Angela,” è stata nominata nel 2014 città della cultura. Non si comprende però come mai questa città dia il suo nome ad un tipo di componimento poetico, dato che non vi sono riferimenti storici o letterari che facciano pensare che il Limerick sia nato nella storica città irlandese. Dove, di certo, era diffusa una poesia popolare, realistica e giocosa, buona per le occasioni di festa; come pure diffuse erano le filastrocche per bambini che sono state tramandate oralmente. Questa tradizione poetica medievale è forse alla base dello sviluppo del Limerick.
Tuttavia, si indica come il padre del Limerick Edward Lear (1812-1888), un illustratore naturalista molto apprezzato, insegnante di disegno della regina Vittoria. Un giorno, invitato dal presidente della Zoological Society, Lord Stanley, presso la sua residenza dove avrebbe dovuto ritrarre gli animali della sua collezione, Lear iniziò a scrivere Limerick per divertire i nipotini del suo mecenate. Nacquero così tantissimi Limerick (raccolti in due volumi pubblicati nel 1846 e nel 1871) che divertivano, e divertono ancora dato che sono molto tradotti, per la loro visione straniante, comica, grottesca e anticonformista della realtà. Una fuga, probabilmente, dalla soffocante e moralistica epoca vittoriana. In realtà Lear non definì mai le sue poesie, che erano sempre accompagnate dalle illustrazioni, dei Limerick, ma dei versi nonsense, termine che dobbiamo proprio a Lear. Ad ogni modo, con i versi di Lear viene codificato un genere poetico. Anche se componimenti poetici con le caratteristiche del Limerick erano apparsi anche, composti da autori ignoti, all’inizio dell’ottocento. Un fatto curioso è che i luoghi che appaiono nel primo verso di questi primi Limerick sono quasi sempre italiani: Maranello, Girgenti, Genova, Caltagirone etc. Ma questa considerazione non vuol dire nulla e ci serve solo per raccontare che il Limerick ha avuto fin dagli anni trenta un grande successo in Italia. Grazie alle traduzioni delle poesie di Lear di Camilla Poggi Del Soldato, Carlo Izzo ( di cui segnaliamola traduzione de “Il libro delle follie” di Lear, edito da Neri Pozza e poi da Einaudi con il titolo “Il libro dei nonsense”) e del grande Mario Praz. In anni più recenti sono stati diversi gli scrittori italiani e i poeti dilettanti, oltre agli stessi traduttori, che si sono misurati con il Limerick. Gianni Rodari ne “La grammatica della fantasia” dedica un capitolo agli aspetti tecnici di questo tipo di componimento poetico. Rodari compose anche molti Limerick come il seguente:
Una volta un dottore di Ferrara
voleva levare le tonsille a una zanzara.
L’insetto si rivoltò
e il naso puncicò
a quel tonsillifico dottore di Ferrara.
Comunque, il limerick ha avuto in Italia un grandissimo successo. Soprattutto tra i lettori comuni e nelle scuole dove si è prestato ad essere esercizio creativo di scrittura, di composizione in versi.
A tale proposito Ersilia Zamponi, insegnante e saggista, ha pubblicato un interessante e illuminante saggio dal titolo “I draghi locopei. Imparare l’italiano con i giochi di parole”, edito da Einaudi. Edito da Vallardi è “Il libro dei Limerick”, oltre duecento, di Max Manfredi e Manuel Trucco, con la prefazione di Stefano Bartezzaghi e un saggio sul genere di Pier Paolo Rinaldi: “Un girotondo intorno al Limerick”.
In questi ultimi anni in tanti hanno continuato ad interessarsi a questo genere poetico molto popolare anche da noi. Anche perché il Limerick ha un aspetto ludico molto coinvolgente. Diverte, incuriosisce, stimola la fantasia e l’invenzione linguistica. E’addirittura sovversivo e rivoluzionario. Di certo non ha freni e quindi è liberatorio. Tra la selva di estimatori del Limerick, noti, come Michele Serra con i suoi Limericks elettorali, e meno noti, vogliamo proporvi alcuni Limericks di una insegnante e scrittrice sarda trapiantata a Terracina che ci offre un viaggio comico, stralunato e immaginifico nella sua terra e tra la sua gente: Maria Giuseppina Ottaviana Piras.
“OVODDA”
Si organizza una gita ad Ovodda
per chierichetti: lo annuncia don Podda,
che li accompagna lieto ed arzillo.
È proprio forte il nostro Tarsillo.
Lo ha risanato il professor Pirodda.
“LULA”
L’altro dì ho viaggiato per Lula,
cavalcando a dorso di mula.
Belli i monti, con laghi e acque chiare,
però a me, assai più, piace il mare.
In futuro, perciò, andrò a Pula.
“OROSEI”
Il dottore di Orosei
con una roncola ti stacca i nei,
e per curarti la rosolia
ti somministra sterco di arpia.
Quando fallisce si affida agli dei.
“COSSOINE”
L’illustre sindaco di Cossoine
è stato flagellato con le spine
per mano di un rivale suo in amore,
sconvolto dalla rabbia e dal furore.
La donzella contesa ha biondo il crine.
“OLMEDO”
Gli allegri giovanotti nel borgo di Olmedo
tiran di scherma, impugnando uno spiedo;
menan fendenti a dritta ed a manca,
al suolo, ogni tanto, qualcuno si schianta.
Sarà divertente, ma io non ci credo.
“GIAVE” XV
Nel piccolo paese detto Giave
si fa a gara nel coltivare fave.
Che si tratti di uomini o animali
ne mangian in quantità industriali.
Ciascuno il suo raccolto chiude a chiave.
“LODÉ”
Nel paese di Lodé
di ricchi non ce n’è.
Non hanno da mangiare,
si mettono a saltare,
poi si bevono un caffé.
“BORUTTA”
Il nobile curato di Borutta
per dir la messa indossa la muta.
I suoi fedeli, sciocchi e balzani,
gli fanno scherzi alquanto strani,
lanciandogli contro uova marce e frutta.
ARGENTIERA”
Un pescatore dell’Argentiera
voleva pescare una perla nera.
Per tutto il giorno lui si tuffò,
ma il mare avaro si rivelò.
Rimediò solo una vecchia dentiera.
“ASSOLO”
Un mio amico che vive ad Assolo
canta e gorgheggia alla Bobby Solo,
sera e mattina, estate e inverno,
tutti lo mandano irati all’inferno.
Qualcuno, sovente, lo sbatte al suolo.
“SANLURI”
Per divertirsi hanno fatto a Sanluri
gare di corsa in groppa ai canguri.
Qualcuno, invece, un po’ originale,
cavalcare voleva un grosso maiale.
Che avrebbe vinto eran tutti sicuri.
“GONNOSNO’”
Quand’è freddo a Gonnosnò
fanno in piazza un gran falò.
Poi cucinano lasagne
e arrostiscono castagne.
Ognun mangia finché può.
“TEMPIO”
Il sagrestano del duomo di Tempio
di statue di santi ha fatto gran scempio,
e per punirlo di tanto misfatto
l’han messo alla gogna e l’han fustigato.
La punizione sia a tutti di esempio.
“TORPÉ”
Gli abitanti di Torpé
non possiedono il bidé;
si lavano all’istante
il cul con un idrante,
messi in fila a tre a tre.
“VILLANOVA MONTELEONE”
A Villanova Monteleone
si fanno il bagno dentro un bidone;
per primo il sindaco, poi il maresciallo,
segue il dottore con un cavallo.
Il bello è che non usano il sapone.
“VILLAPERUCCIO”
È scritto sul giornale che a Villaperuccio
la Giunta comunale ha fatto un inciuccio:
si sono divisi, tranquilli e contenti,
i soldi versati dai contribuenti.
Li ha denunciati un certo Ninuccio.